lunedì

I COMPLICI DI MUGABE

Di Antonella Randazzo


Come al solito, anche nel caso dello Zimbabwe, i media occidentali puntano il dito contro il dittatore, evitando che si scopra chi lo ha creato e chi lo sostiene. Molti non comprendono come mai vengono denunciati i crimini di determinati dittatori, e nascosti quelli di molti altri.
Il principio per capire l’esistenza delle dittature è molto semplice: il dittatore è un uomo incaricato da chi ha potere economico-finanziario di assumere poteri politici e militari.
Si tratta della classica situazione in cui le persone che controllano le banche e le grandi corporations hanno messo le mani sulle ricchezze del paese, e dunque hanno convenienza a creare una dittatura che possa reprimere il popolo e proteggere i loro interessi.
Di tanto in tanto saltano alla cronaca eventi funesti causati da dittatori dei paesi del Terzo Mondo. Ciò avviene per diversi motivi: perché il dittatore non obbedisce più pedissequamente ai suoi padroni, perché è troppo inviso dalla popolazione, e dunque risulta necessario prenderne le distanze indicandolo come feroce tiranno, oppure perché stanno subentrando altri fattori che rendono necessario cambiare personaggio (es: si vuole fare una nuova guerra, si vogliono inserire altri personaggi appartenenti ad una determinata famiglia, oppure non si ha più completa fiducia nel vecchio dittatore).
Il dittatore protetto dalle autorità occidentali di solito non appare tale dai nostri telegiornali, che lo definiscono “presidente”, anche quando sarebbe assai semplice capire la natura del suo potere politico.
I dittatori indicati dai media come tali, che hanno infranto qualche regola data dai loro padroni, vengono descritti come mostri, senza però dare alle notizie una dignità storica che possa consentirne la giusta comprensione. Vengono posti due livelli di giudizio (ma le persone comuni ne percepiscono soltanto uno): uno è quello che vede il dittatore infangato e mostrato come colui che tiranneggia il popolo e produce sofferenza, l’altro è il piano che ha fatto produrre questa immagine, ossia la volontà di mettere fuori gioco il personaggio ponendolo alla gogna dell’opinione pubblica internazionale. E’ ovvio che chi controlla i media non ha a cuore il rispetto dei popoli dato che in molti altri paesi crea dittature feroci e le protegge, ma è interessato al controllo dei paesi e delle loro risorse.
Nel caso dello Zimbabwe, pur essendo il dittatore Robert Mugabe al potere da oltre venti anni, soltanto da recente si sono mobilitati i media occidentali, l’Onu e le autorità occidentali, specie quelle inglesi e statunitensi, a difesa della “democrazia”. Cos’è accaduto per dare tutto questo spazio mediatico ad un paese africano?

Emerge l’appello dell’Onu per avere elezioni “libere ed eque” (come se esistessero in altri paesi). Vengono registrate violenze perpetrate dal dittatore, come se in tutti questi anni egli fosse stato virtuoso e caritatevole. All’improvviso emerge che non c’è una vera opposizione, come se prima ci fosse.
Si denuncia un “collasso economico”, come se l’economia attuale non fosse nelle mani di quei pochi che possono manipolarla ed impoverire qualsiasi paese.
Si dice che “Al tasso di cambio di ieri, trenta miliardi di dollari zimbabwesi valevano un dollaro Usa. La produzione di mais ammonta a un decimo rispetto al 1990 e una drammatica penuria di cibo rischia di colpire almeno cinque milioni di persone entro la fine dell'anno. In un Paese dove l'aspettativa di vita è di 34 anni per una donna e 37 per un uomo, e gli orfani sono 1,7 milioni”.(1)

Si racconta la situazione economica come dipendesse da un solo uomo, facendo ricadere nel dimenticatoio la “globalizzazione”, o il potere degli stegocrati.
L’attenzione si appunta sull’esigenza di “elezioni libere”, facendo intendere che la “democrazia” si basa proprio su di esse. Si fa credere che le autorità occidentali abbiano a cuore la sovranità dei popoli, e che dunque si sentano in dovere di proteggere il sistema elettorale.
E’ possibile provare che le vere motivazioni dell’indicare il feroce dittatore sono ben altre, e che la sovranità popolare viene temuta come la peste proprio da quelle stesse persone che si spacciano per “democratiche”.
Oggi è il turno di Mugabe, come in passato lo è stato di Saddam Hussein, del dittatore pakistano Parvez Musharraf o di quello birmano Than Shwe.
La domanda è: perché proprio Mugabe è messo alla gogna? Dove ha sbagliato per perdere la protezione dei suoi vecchi padroni?
La situazione viene raccontata dai media come capovolta: si fa intendere che il potere dittatoriale sta rovinando il paese, e non che si sta colpendo il paese per spodestare il dittatore disobbediente e insediarne un altro. Si deresponsabilizzano le banche e le grandi società straniere (come si fa ovunque, del resto) per far apparire Mugabe come unico responsabile del crollo economico e della dittatura.
Si fa credere che le dittature africane non abbiano nulla a che vedere con il potere delle autorità occidentali. Ciò, ovviamente, è un’enorme truffa. I Paesi dell’Africa meridionale, che hanno molte ricchezze minerarie, sono stati occupati e saccheggiati a partire dai viaggi di Cecil John Rhodes (1853-1902), un personaggio che aveva la protezione della Corona inglese, e riuscì a saccheggiare molte zone dell’Africa, diventando una delle persone dei più ricche del pianeta.
Lo Zimbabwe, come molti altri paesi africani, è stato sottoposto alle "torture" della globalizzazione, con relativa invasione delle banche e delle società occidentali, specie inglesi e statunitensi.

Mugabe, in passato, era stato sempre servizievole verso i padroni anglo-americani, introducendo la pena di morte nel 1991 (ancora in vigore) e partecipando alla guerra in Congo, facendo pagare conti salati per spese militari ai cittadini zimbabwesi (e arricchendo i produttori di armi).
Da qualche anno però le cose sono cambiate: si sta facendo sempre più spazio la Cina, bisognosa di materie prime per continuare il suo percorso industriale e tecnologico.
Lo Zimbabwe è ricco di oro, che viene estratto anche da società che rimangono “nascoste”. Tale mercato nero permette di trasportare l’oro fuori dal paese e rivenderlo ad un prezzo più alto.
Lo Zimbabwe possiede anche i “base metals”, ovvero quei metalli che vengono trasformati in prodotti semilavorati utili in ambiti industriali. Ad esempio il nichel e il platino.
Le miniere di platino sono sfruttate dal 1969, anno in cui la Union Carbide Corporation (società inglese nata nel 1917) iniziò l’attività di estrazione a Wedza, nel sud del Paese.
Dal 2001 la società Makwiro Platinum Mines, impresa posseduta dalla Zimbabwe Platinum Mines, sta estraendo nella miniera nella zona dello Ngezi, nel sud-est del Paese. Gli investimenti maggiori sono fatti attraverso società Sudafricane, che però sono controllate da diversi personaggi inglesi e statunitensi (anche dalla stessa Corona inglese).
Come riferisce il “Times”, il colosso Anglo American, sta progettando di investire 400 milioni di dollari in Zimbabwe per costruire una nuova miniera di platino.
Dopo il Sudafrica, lo Zimbabwe è il paese che possiede riserve di platino, metallo richiesto nell'industria elettronica e nei convertitori catalitici delle automobili. La Anglo American controlla la Anglo Platinum, che si occupa di gestire l’estrazione, la lavorazione e la commercializzazione del platino che viene estratto anche in Sudafrica.
Da recente, anche la Bbc ha denunciato violazioni dei diritti umani commesse da queste società, come ad esempio lo spostamento forzato di 20.000 persone in Sudafrica, e il grave inquinamento delle acque con nitrati, che possono causare tumori e malattie al sangue.
Il problema per gli interessi di queste società risiede nella volontà del governo dello Zimbabwe di espropriare il 51% delle azioni delle imprese minerarie straniere presenti nel Paese. Il presidente (sarebbe più esatto dire dittatore dato che nemmeno in Sud Africa conta la volontà popolare) Thabo Mbeki, ovviamente ha denunciato i pericoli per gli interessi dei possessori delle società che rischiano l’esproprio.
Da quando è emersa la volontà di esproprio del governo si è mobilitato anche il Fondo Monetario Internazionale (FMI), imponendo sanzioni economiche che costituiscono la causa principale (insieme al debito pubblico) dei problemi economici e finanziari del paese. Ovviamente i telegiornali non dicono che quando un dittatore infrange le regole dei suoi padroni a pagare sarà soprattutto il popolo (vedi anche l’Iraq dell’inizio anni Novanta, piegato dalle sanzioni che uccisero migliaia di bambini).
I media occidentali occultano in modo spudorato tutti i gravissimi crimini delle autorità occidentali, ad esempio non dicono che gli anglo-americani hanno fatto in modo che pochi bianchi, specie stranieri, assumessero il controllo di quasi tutte le ricchezze del paese, lasciando nella miseria gran parte dei cittadini.

Non si dice che negli ultimi anni la situazione sanitaria è gravemente peggiorata, ad esempio la mortalità infantile è salita dal al 61%(2003) all'81% (oggi), e si sono diffuse malattie come l’AIDS e la malaria.
L’impoverimento inizia proprio quando Mugabe disobbedisce, intorno al 2000, attuando una serie di espropriazioni ad agricoltori bianchi, disapprovati dalle autorità inglesi. Nel 2003 il paese esce dal Commonwealth, e la Gran Bretagna ritira il titolo di “sir” a Mugabe, “per le violazioni dei diritti umani”, come se in vent’anni di governo dittatoriale li avesse rispettati.
Da allora lo Zimbabwe, da paese meno povero dell’Africa si avvia verso una serie di ritorsioni, vendette e sanzioni che lo avrebbero portato al collasso, giungendo ad avere un Pil di -3,6 (2008). Gli Stati Uniti hanno imposto la sospensione degli aiuti internazionali per punire Mugabe, e il FMI ha saccheggiato buona parte della ricchezza prodotta dal paese per il pagamento del “debito pubblico”, che nel 2007 è stato regolarmente pagato nonostante le sanzioni e le varie persecuzioni economiche.

Ovviamente l’espropriazione del governo di Mugabe sarebbe servita a far spazio a proposte assai convenienti avanzate dagli imprenditori cinesi. Negli ultimi anni lo Zimbabwe ha stretto rapporti commerciali vantaggiosi anche con l’Iran, e questo ovviamente non è stato digerito dalle autorità a stelle e a strisce, che da tempo impongono a tutti di emarginare il governo di Mahmoud Ahmadinejad.
Il pretesto preso dalle autorità occidentali per mettere il dittatore alla gogna sono state le elezioni avvenute lo scorso 29 marzo, denunciate come “irregolari”.
E’ come se si ripetesse un copione: si denuncia il dittatore che reprime, non permette libere elezioni oppure rappresenta un pericolo per tutti, e si invoca l’intervento dell’Onu.
Si mobilitano forze militari per abbattere il potere del vecchio dittatore, qualora egli non ritornasse all’ovile.
Le autorità statunitensi hanno fatto sapere che “non riconosceranno il risultato del ballottaggio” dello scorso 27 giugno. Ballotaggio avvenuto comunque anche in seguito al ritiro del candidato dell'opposizione.
Il loro intento è quello di creare caos nel paese in modo tale da poter sostituire Mugabe con un dittatore più compiacente, o costringere il vecchio dittatore a cedere alle pressioni. Ma il governo dello Zimbabwe, attraverso il quotidiano “Herald”, ha fatto sapere che "Siamo aperti a colloqui ma abbiamo i nostri principi... siamo una nazione sovrana e le elezioni sono nostre"(2).
Nonostante le durissime critiche che si possono sollevare contro Mugabe, è fuor di dubbio che, paradossalmente, un governo africano cerca di farsi riconoscere un potere assai più ampio di quello avuto da autorità di paesi che si dicono maggiormente democratici, come ad esempio le autorità italiane, che obbediscono ad ogni diktat di Washington senza alcuna dignità, mettendo a rischio la salute e la vita degli italiani (vedi ad esempio il problema delle armi atomiche sul suolo italiano).

Intanto, fa parte del copione classico anche la mobilitazione degli eserciti, specie delle forze dell’Onu, destinate a diventare l’esercito mondiale pronto a seminare distruzione ogni qual volta un paese voglia uscire dalla prigionia imperiale.

E’ stata mobilitata l’opposizione dello Zimbabwe, che attraverso il capo Morgan Tsvangirai chiede una forza militare nel suo paese "per proteggere il popolo… Chiediamo all'Onu di andare oltre la risoluzione ora adottata, che condanna la violenza nello Zimbabwe… Non vogliamo un conflitto armato ma il popolo ha bisogno che le parole di indignazione dei leader mondiali siano supportate dalla rettitudine morale di una forza militare".(3)
L’appello ufficialmente sarebbe per la solita missione detta “peacekeeper”, e per giustificare la militarizzazione si dichiara di voler "separare il popolo dall'oppressore". Di fatto sarà il popolo ad essere oppresso e pagherà assai caro il comportamento del suo governo.
Sulla vittoria alle elezioni farsa e sul ballottaggio si dice che “non c’è il riconoscimento della comunità internazionale”. Occorre ricordare però che i nostri media per “comunità internazionale” intendono la volontà delle autorità anglo-americane. (ad esempio ci viene detto che l’Iran costruendo le armi nucleari infrange la regole della comunità internazionale, o che l’incremento degli arsenali avviene per proteggere la comunità internazionale).
Le autorità statunitensi parlano di dare «un forte segnale di deterrenza» al governo dello Zimbabwe, spacciando l’intervento come difesa dei cittadini zinbabwesi. Il segretario di stato americano Condoleezza Rice riferisce di eventuali sanzioni: «Io penso che dobbiamo verificare quali altre misure siano valide e più estese, sia da parte degli Stati Uniti sia da parte della comunità internazionale, per mandare un forte messaggio di dissuasione. Gli Stati Uniti useranno tutto quello che è in loro potere in termini di appropriate sanzioni>>.(4) Ovviamente alla Rice come a tutte le autorità statunitensi non importa nulla dei diritti umani, dato che li calpestano impunemente in moltissimi paesi del mondo.

Non ci viene detto nulla riguardo al consenso reale di cui gode Mugabe, ma ci sarebbe da chiedersi onestamente (cercando di uscire completamente dalla disinformazione dei media ufficiali) se i cittadini dello Zimbabwe preferiscano un governo completamente controllato dagli anglo-americani oppure quello attuale, che cerca di arginare il vecchio dominio grazie alle generose offerte cinesi e iraniane.
Pur sempre di una dittatura si tratta, ma sappiamo ormai da tanto tempo che esistono dittature feroci e dittature più “soft”. I nostri media ufficiali non ci informeranno mai correttamente riguardo alle dittature in cui il sistema migliora grazie alle infrazioni dei diktat di Washington. E non ci parlano nemmeno di quei tanti casi in cui le autorità statunitensi hanno preferito scatenare una guerra civile piuttosto che perdere potere e ricchezze.


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La vera ignoranza consiste nel criticare prima di comprendere e nel pretendere che tutti facciano come faremmo noi.



NOTE

1) http://www.peacereporter.it/dettaglio_articolo.php?idc=&idart=11444
2) http://www.repubblica.it/2008/04/sezioni/esteri/zimbawe-mugabe/usa-voto/usa-voto.html
3) http://www.ansa.it/opencms/export/site/visualizza_fdg.html_103071276.html
4) http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/esteri/200806articoli/34227girata.asp

martedì

UN NUOVO RINASCIMENTO

Di Antonella Randazzo


Già all'inizio degli anni Novanta del secolo scorso, lo studioso Edward de Bono iniziò a parlare di "Nuovo Rinascimento", ad intendere la possibilità di superamento delle vecchie griglie epistemologiche e gnoseologiche poste nel mondo occidentale dai pensatori dell'antica Grecia. Secondo de Bono sarebbe possibile superare il modo classico di intendere la logica, la verità e persino la ragione stessa.
Uscendo dai parametri precostituiti, l'uomo finirebbe per accorgersi di avere potenzialità mai considerate prima, e di poter osservare la prospettiva del mondo e di se stesso in modo nuovo e straordinariamente efficace in termini di crescita e cambiamento.

Negli ultimi decenni, anche molti altri studiosi di discipline scientifiche e umanistiche hanno parlato di "segni di progresso" presenti in molti paesi del mondo.
Si tratterebbe di una nuova sensibilità emersa da recente, che vede l'idea di una universalità umana, e di un nuovo livello evolutivo per il pianeta. Ad esempio, molti occidentali sono diventati più sensibili alle problematiche del Terzo Mondo, e molte persone di ogni nazionalità si sono poste il problema di eliminare le guerre, individuandole come utili all'attuale sistema di potere e distruttive per tutti i popoli.
Dunque, il Nuovo Rinascimento offrirebbe una nuova mente, libera da schemi di potere ingiusto, e una nuova realtà, libera dalla sopraffazione e dalla violenza.

Questo Nuovo Rinascimento riguarderebbe molti paesi del mondo, e sarebbe una sorta di evento simile a quello della "centesima scimmia". Tale fenomeno sostiene che se un numero significativo di persone apprende una nuova capacità o un nuovo pensiero, avverrà, ad un certo punto, che l'intera categoria verrà trasformata dalla nuova acquisizione.

Non si tratterebbe soltanto di un fenomeno che riguarda la conoscenza del mondo, ma anche il problema della sopravvivenza, inteso in modo ampio, anche come possibilità dell'uomo di esprimere liberamente le sue potenzialità, mentali o creative, uscendo dai parametri preposti dal sistema, che possono imprigionarlo senza dargli modo di accorgersene.

Dunque, mentre il Rinascimento italiano si fondò sulla riscoperta dei classici latini e greci, e sulla loro esatta interpretazione, per superare i limiti posti dal pensiero religioso, il Nuovo Rinascimento potrebbe superare anche i parametri posti dal pensiero occidentale e dalla scienza, che hanno creato dogmi e paradigmi spesso non visti come tali.

Secondo questo punto di vista, per la prima volta nella Storia, gli esseri umani potrebbero diventare capaci di accorgersi che la loro realtà non può essere appiattita all'interno delle griglie metodologiche scientifiche, e che possono essere riesaminate le abitudini di pensiero, per individuare i condizionamenti subiti e far emergere nuove potenzialità e nuove attitudini mentali.
Il pensiero critico, anziché sfociare nei contrasti sterili, nello scontro verbale, o nel modo dicotomico di ragionare ("io ho ragione e dunque tu hai torto"), sarà articolato, ad esempio, sui fenomeni diacronici o sulle basi epistemologiche dogmatiche, in modo tale da demolire i limiti conoscitivi imposti all'uomo.
Ciò permetterà di individuare nuove risorse, nuove potenzialità e dunque una possibile nuova realtà. Infatti, cambiare la realtà significa cambiare se stessi, e cambiare se stessi non è possibile senza demolire il "vecchio" e far emergere il "nuovo".
Alla base ci sarà la conoscenza di se stessi, che permetterà di creare la nuova realtà, nella consapevolezza che si è capaci di vedere soltanto ciò che si è pronti a vedere, e che si possono costruire nuove conoscenze sulla base del livello mentale/emotivo/cognitivo raggiunto.

In questo contesto non è l'aver ragione a contare, o la polemica su ciò che è vero o falso, ma i fatti: il benessere di tutti gli esseri umani, la crescita delle loro potenzialità, empatiche, logiche, artistiche, ecc.
Non ci sarà più la vecchia disputa su ciò che è possibile e su ciò che non lo è: il principio sarà che "quello che tu vuoi per te stesso deve essere quello che tutti dovrebbero avere". Se tu hai da mangiare, tutti dovrebbero averne, se tu vivi una vita dignitosa, tutti dovrebbero poterla vivere. Altrimenti esisterebbe, come nel mondo attuale, una doppia morale o una realtà di sopraffazione e violenza. Non si può creare ciò che si ritiene impossibile, e non si può cambiare se si è prigionieri della vecchia logica. La realtà attuale esiste proprio perché molti la ritengono immodificabile; nel momento in cui coloro che la riterranno assurda saranno abbastanza, essa sarà destinata inevitabilmente a cambiare.

Il Nuovo Rinascimento dovrebbe far diventare consapevoli dei meccanismi potentissimi utilizzati dai mass media e dalla pseudo-cultura della propaganda, che hanno l'obiettivo di manipolare la mente e dunque i valori delle persone comuni. Ciò non sarà più possibile quando gli esseri umani impareranno a guardare dentro se stessi per capire le loro vulnerabilità, e i metodi che su di essa si basano.

Nell'attuale sistema, in vari livelli, sia negli ambienti culturali che nei media, esistono costrutti logici precostituiti, che possono limitare o appiattire la realtà, trascurando la sua complessità, o nascondendo che alcuni aspetti possono avere una loro propria logica, divergente rispetto a quella imposta. Ad esempio, l'arte non dovrebbe essere valutata attraverso meccanismi collegati alla verbalità o alla logica, poiché essa, in quanto creazione, sfugge ai criteri validi in altri ambiti. Eppure oggi esiste la cosiddetta "arte concettuale", che si basa su una presunta capacità di pensiero che dovrebbe sottenderla. Ciò dimostra che persino l'arte è stata resa dogmatica, propagandistica, a servizio del sistema e non della crescita umana.

Il sistema mediatico utilizza una serie di conoscenze del percettivo per rendere più efficace il condizionamento. Vengono indotte associazioni errate, ad esempio, durante la Guerra fredda si esaltava la vittoria, nei campionati di scacchi, del russo sull'americano, facendo intendere che si dovesse considerare il fatto in modo esteso, senza ammettere che si trattava di una competizione di sole due persone e su una sola disciplina. I media generalizzano, ad esempio, se un rumeno uccide ci inducono a credere che tutti i rumeni sono pericolosi, eppure noi sappiamo che anche alcuni italiani hanno ucciso, ma non per questo ci consideriamo tutti assassini.
Le leggi percettive utilizzate dai media esprimono sempre una realtà parziale e relativa, ma le notizie vengono date in modo tale che questo non emerga. Alcune associazioni e generalizzazioni vengono promosse e altre mai considerate. Ad esempio, durante la Guerra fredda nessun media fece notare che la Stella Rossa dell'esercito sovietico richiamava le cinque punte del Pentagono. Il penta-simbolo si trovava, curiosamente, in entrambi i sistemi militari, che si dicevano antitetici. Così come oggi nessun media ufficiale fa notare la presenza di simboli nazisti e fascisti negli edifici istituzionali statunitensi.

Le tecniche utilizzate dai media non servono soltanto a disinformarci, ma soprattutto a rendere piatto il nostro cervello, a tal punto che anche di fronte a materiali di migliore qualità esso reagisca in modo tale da non utilizzare le sue potenzialità. Ad esempio frasi come "Questo è forse uguale a..." oppure "Questo mi ricorda...", fanno appello al già noto e tendono ad ignorare ciò che c'è di nuovo nel messaggio, appiattendo la notizia al già conosciuto. Nessuna nuova esperienza o nuovo messaggio possono essere completamente uguali ai precedenti, e dunque il cervello dovrebbe essere allenato a trovare gli elementi nuovi piuttosto che soltanto ad individuare quelli già noti. Se utilizziamo le nostre proprie risorse ed evitiamo di banalizzare o appiattire la verità al già noto, diventeremo capaci di cogliere il nuovo persino in situazioni che ci appaiono di primo acchito come "vecchie".
Allenandoci a vedere il nuovo potremmo diventare capaci di vedere cose non facili da individuare, o di rispondere agli stimoli mediatici in modo nuovo, capace di contrastarne gli effetti nocivi.
Rispondere con creatività ai condizionamenti può rendere capaci di capovolgerne gli schemi: "anziché condizionarmi, comprendo le tecniche e conosco meglio il potere attuale". E' ovvio che tutto questo richiede un maggior impegno e maggiori risorse rispetto al cedere al condizionamento.
Come richiede molto impegno creare una nuova realtà, evidenziando il vecchio modo di ragionare o le vecchie abitudini. Di fronte a vecchi contenuti propagandistici o mistificatori può essere utile chiedersi: "Che tipo di ragionamento si vuole incoraggiare?", oppure "Cosa si vuole imporre alle nostre menti?", "Quale tipo di limite?", "Qual'è lo scopo di questa mistificazione?"
Nel nuovo modo di intendere la realtà occorre tener presente che il linguaggio propagandistico o manipolatorio si basa su antinomie stilizzate, o su etichette che hanno lo scopo di cristallizzare concetti falsi o similveri. Ad esempio veniamo incoraggiati ad aderire ad una fazione politica o sociale, pensando di poter provare la nostra "superiorità" criticando o facendo emergere gli errori degli altri, credendo che è nello scontro che si può provare il proprio valore. Ma le beghe e le risse fanno parte del sistema limitante, che ci rende mentalmente rigidi a tal punto da ritenere che la ragione sia sempre e soltanto nostra. Veniamo abituati sin da piccoli a ritenere di essere persone razionali, mentre invece siamo dominati dai paradossi posti dal sistema come "naturali". Ad esempio siamo abituati a vedere esaltate le possibilità scientifiche e tecnologiche, mentre viviamo in un mondo in cui la stragrande maggioranza delle persone non ha abbastanza per vivere dignitosamente o muore per malattie curabili. Siamo abituati ad un sistema che ritiene più giusto che i paesi occidentali spendano più in armi che per sfamare i bambini del Terzo Mondo, o che i nostri soldi vadano nelle tasche dei già ricchi e non vengano impiegati a migliorare il paese.
I paradossi ci vengono inculcati attraverso il linguaggio: le guerre del Terzo Mondo sono "etniche", e non pagate dalle corporation e dalle banche; le missioni estere sono di "pace" e non per uccidere anche donne e bambini dei popoli che resistono. Come spiega lo scrittore Roberto Quaglia: "La manipolazione semantica ha già trasformato la parola «pace» in guerra («le missioni di pace»), la parola «libertà» in una informe creatura tentacolare che ormai non so più bene spiegare neanch’io, e potremmo continuare con gli esempi a lungo".(1)
Occorre ricordare che lo strumento base per la manipolazione della realtà è la manipolazione delle parole. Come sostenne lo scrittore Philip K. Dick, "Se puoi controllare il significato delle parole, puoi controllare le persone che devono usare le parole".

Per capire la verità occorre ribaltare o cambiare i significati comuni: ad esempio non "missione di pace all'estero", ma "repressione dei popoli che non si sottomettono all'élite occidentale"; non "poteri forti" ma "gruppo che ha usurpato il potere"; non "controinformazione" ma "informazione indipendente", perché la parola controinformazione significa contro l'informazione, ma quella ufficiale non è vera informazione e informare non significa mettersi '"contro" qualcosa o qualcuno, ma semplicemente essere disposti a dire la verità; non "antipolitica" ma "rivendicazione di una vera politica", perché quella che attualmente viene chiamata politica non è tale, è soltanto un teatrino i cui burattini sono manovrati da burattinai che rimangono accuratamente nascosti; non "paesi in via di sviluppo" ma "paesi colonizzati o sfruttati".

In parole semplici, il Nuovo Rinascimento offrirebbe una nuova mente, nuovi significati, nuove parole, per una nuova realtà. Si tratta di una nuova ristrutturazione della realtà, attraverso nuove potenzialità neurologiche, emotive e cognitive. Secondo molti studiosi, esistono più cervelli o diversi livelli cerebrali, che lavorano parallelamente, e che se entrano a far parte dell'esperienza possono produrre nuovi modelli di esistenza, improntati su altre potenzialità, di solito poco utilizzate, come l'empatia, l'umorismo, l'intuito e la creatività. Poco la scienza ci dice di queste potenzialità, ma sappiamo, ad esempio, che gli emisferi cerebrali possono sintetizzarsi in modo nuovo, attraverso nuove connessioni neuroniche. Quando, ad esempio, parte di un emisfero viene distrutta in seguito ad un incidente, di solito avviene una ristrutturazione degli emisferi cerebrali, e non è detto che le funzioni della parte lesa vengano perdute completamente.
Oggi si parla di superamento dello schematismo che il sistema utilizza per connotarci, e della possibilità che tutte le potenzialità umane (emotive, morali, "femminili", "maschili", ecc.) possano essere sviluppate da tutti.
De Bono propone di utilizzare il concetto di "gianoide" ad intendere che la realtà è assai più complessa rispetto alle dicotomie oggi imposte come verità. In altre parole, si può ribaltare un ragionamento per vedere se è possibile acquisire nuovi punti di vista, tutti altrettanto validi, considerando la realtà come poliedrica e non piatta. L'importante è essere intellettualmente onesti, e disposti a non contraffare la realtà sulla base dei nostri personali interessi.
I risultati possono essere eccellenti, e non è tanto questione soltanto di intelligenza. Quest'ultima dovrebbe essere accompagnata da molte altre qualità umane, come l'onestà o l'attività di pensiero. L'intelligenza di per sé non garantisce un'attività di pensiero di qualità, in quanto il conformismo o il desiderio di seguire la strada di minore resistenza potrebbero rendere le persone più intelligenti semplici emulatori.
Nel Nuovo Rinascimento conterà la capacità di risolvere problemi, non come un semplice "problem solving", ma come capacità di modificare il sistema, partendo dalla sua alterazione o distruzione attraverso il pensiero. Modificare significa cambiare i rapporti tra le diverse parti, facendo emergere la problematicità dei vecchi rapporti. Il progresso è ricerca di nuove soluzioni, all'interno di un nuovo modo di intendere i problemi stessi. Anche il concetto di creatività deve essere inteso in modo ampio, come capacità di modificare la stessa percezione della realtà, utilizzando nuovi schemi mentali, in grado di farci uscire dai limiti che ci vengono imposti dall'esterno. Occorrerebbe cambiare persino gli schemi che riguardano il concetto di noi stessi. Spiega de Bono:

"Uno dei risultati più validi è stato quello di cambiare in uno studente l'immagine di se stesso da quella di "sono intelligente" a quella di "sono uno che pensa". Questa seconda è un'immagine molto più costruttiva. Quindi non più un "sono nel giusto", ma un "posso pensare in questo modo". Il pensare viene così concepito anche come una capacità migliorabile con l'attenzione e la pratica, come nel tennis, nello sci o in qualsiasi altro sport... L'educazione... (dovrebbe avere come) compito più fondamentale, insegnare la capacità di pensare".(2)

L'abitudine e il conformismo rappresentano i maggiori ostacoli alla creazione del nuovo, poiché limitano la creatività e spingono verso l'inerzia, alimentando lo status quo. E' più comodo dire "è impossibile", "è utopistico", piuttosto che mettersi in gioco per uscire dai vecchi schemi, che puntano proprio a creare scetticismo verso il nuovo.

Il cambiamento esige impegno, e di solito è più facile accondiscendere al sistema inerzialmente anziché fare il contrario.
Per questo motivo il Nuovo Rinascimento sarebbe ancora agli albori, nonostante da molto tempo il pianeta presenti una situazione inaccettabile e assai pericolosa per la sopravvivenza dei suoi abitanti.
Il cambiamento è forse un processo già in atto, di sicuro è una "condicio sine qua non" del futuro dell'umanità.


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Ricordati che la vera ignoranza consiste nel criticare prima di comprendere e nel pretendere che tutti facciano come faresti tu.


NOTE

1) Quaglia Roberto, "Il concetto di complotto", http://www.robertoquaglia.com
2) De Bono Edward, "Io ho ragione tu hai torto", Sperling & Kupfer, Milano 1991, p. 258.


BIBLIOGRAFIA

Conforto Giuliana, "Universo organico e l'utopia reale", Macro Edizioni, Diegaro di Cesena (FC) 2007.
Conforto Giuliana, "Luh, il gioco cosmico dell'uomo", Macro Edizioni, Diegaro di Cesena (FC) 2001.
De Bono Edward, "Io ho ragione tu hai torto", Sperling & Kupfer, Milano 1991.
Braden Gregg, "Il linguaggio della matrix divina. Come funziona e come imparare ad usarlo", Macro Edizioni, Diegaro di Cesena (FC) 2007.
Sacchetti Aldo, "Scienza e coscienza", Arianna Edizioni, Macro Editrice, Casalecchio (BO) 2006.

giovedì

LA DITTATURA PERPETUA

Di Antonella Randazzo


Se volessi creare una dittatura perpetua mi curerei soprattutto che essa non sia così percepita. Istituirei un sistema di partiti politici, rigidamente controllati da me, facendo credere che si tratta di libera organizzazione politica dei cittadini.
Controllerei rigidamente i vertici di tali partiti, curandomi che gli adepti e i cittadini percepiscano l'esistenza di una libera scelta. Manterrei nell'oscurità il fatto che i partiti non saranno affatto istituzioni democratiche, ma formazioni rigide e autoritarie, con una struttura piramidale di potere. Chi sta al vertice, da me controllato, prenderà le decisioni più importanti e le imporrà a tutti gli altri in virtù del principio di autorità, curandosi che si possa creare affezione al partito grazie alla fascinazione ideologica o al senso di appartenenza.
Se qualche cittadino vorrà fondare un partito autenticamente libero mi curerei di metterlo fuori gioco con varie strategie, e questo rimarrà nascosto affinché tutti possano continuare a credere che il sistema dei partiti sia "libero".
Inoltre, mi impadronirei del controllo della maggior parte dei mass media, e attuerei una colossale propaganda per convincere che il sistema multipartitico è per sua natura "democratico", poiché permette a tutti di fare una scelta fra più formazioni, e soltanto se c'è un partito unico si deve pensare ad una dittatura.
Se volessi formare una perpetua dittatura mi curerei di dare potere alle persone inclini al narcisismo e all'egocentrismo. A coloro che saranno capaci di far diventare la finzione un'arte. Queste persone sapranno dire anche le più enormi bugie, e ometteranno, mistificheranno e imbroglieranno a tal punto che nemmeno loro stesse sapranno più ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Quando esse dovranno render conto ai cittadini, sapranno scaricare le responsabilità a qualcun altro. La colpa dei disastri sarà data al governo precedente, ad una vecchia autorità, o a fattori che dipendono dal sistema stesso, intesi come "forze maggiori".
Mi curerò che i politici sappiano che la loro elezione dipenderà dall'appartenenza a consorterie, logge e clan, e che non conteranno i meriti, quanto piuttosto la sottomissione al mio potere. I politici impareranno presto, se vogliono continuare ad esser tali, che anche dopo decenni di attività saranno poche le loro "libere" decisioni, poiché il mio sistema vede una montagna di deleghe e deresponsabilizzazioni, che faranno in modo che le decisioni fondamentali siano sempre mie.
Insegnerò ai miei servi a socializzare le spese e a privatizzare i guadagni, in modo tale che la società sia povera, mentre chi esercita potere o mi obbedisce sarà ricco.
I miei servi mi saranno fedeli, proprio perché darò loro fama, ricchezza, privilegi, e soprattutto una grande ebbrezza narcisistica, di cui non riusciranno più a fare a meno, giungendo a calpestare ogni pur minima dignità di persona.
Farei in modo da rendere ogni campagna politica una sorta di spettacolo circense, utilizzando truccatori, sondaggisti, attori, insegnanti di recitazione, psicologi e sociologi. Farei in modo che l'idea di una politica come settore fondamentale per una società più giusta possa scomparire completamente.
Farei in modo da creare fazioni come "sinistra", "centro" e "destra", in modo tale da fomentare divisioni, facendo perdere di vista i veri interessi di tutti.
Coloro che si professeranno di "sinistra" si sentiranno superiori agli altri, e viceversa. In tal modo, anche quando emergeranno positive proposte per migliorare l'informazione o il settore politico, si manterranno le fazioni, e dunque gli effetti saranno ridotti. Chi è a "sinistra" si sentirà più "morale" di chi è a destra, e potrà giungere anche a denunciare una "dittatura dolce", mantenendosi tuttavia all'interno dell'inganno da me creato, aderendo ad un partito da me controllato. E dunque le denunce rimarranno inefficaci, buone soltanto per alimentare il senso della maggiore moralità di chi sta a "sinistra".
Pochi giungeranno a vedere che la dittatura si erge proprio sui partiti. Pochi saranno coloro che non avranno un padrone, e pochissimi quelli che si renderanno conto di averlo.

La dittatura perpetua sarà rafforzata da conoscenze complesse di materie scientifiche, di Psicologia sociale e di Sociologia. Punterei ad utilizzare il "meccanismo dell'impotenza", per far sì che tutti credano di non poter modificare alcunché, e di dover subire anche quando la sofferenza cresce. Con complesse capacità impedirò ogni rivoluzione, specie quella del pensiero.
Mi varrò di tutte le conoscenze che mi necessitano per "produrre una sorta di campo di concentramento indolore per intere società, in modo che la gente sarà privata delle proprie libertà, ma sarà felice di ciò, perché sarà dissuasa da ogni desiderio di ribellarsi - attraverso la propaganda, o il lavaggio del cervello".(1)

Terrò conto degli studi sull'impotenza acquisita, ovvero della possibilità di inibire l'impulso a reagire ponendo alcune caratteristiche nell'ambiente, che saranno percepite come immodificabili. Tale percezione convincerà l'individuo di non poter far nulla per cambiare o migliorare la situazione, rendendo inutilizzate le sue capacità di pensiero e di azione.
La capacità di instillare un senso di impotenza rappresenterà il massimo successo del mio sistema. Infatti, se gli esseri umani si sentiranno incapaci di modificare la realtà saranno indotti ad adattarvisi. Molti giungeranno a ritenere che la propria azione e il proprio pensiero siano privi di potere. Terrò conto delle spiegazioni date dallo studioso Carter G. Woodson: "Quando si controlla il modo di pensare di un uomo non c'è bisogno di preoccuparsi delle sue azioni. Non c'è bisogno di dirgli che non deve stare in un determinato posto e deve spostarsi altrove: sarà lui stesso a trovare il proprio posto e a restarci. Non c'è bisogno di dirgli di entrare dalla porta di servizio... tanto che se la porta di servizio non esiste ci penserà lui stesso a costruirla, perché l'educazione che ha ricevuto glielo impone".(2)

Terrò conto anche dei chiarimenti dati dal giornalista Ryszard Kapuscinsky, secondo cui la rivoluzione è possibile soltanto in seguito ad un cambiamento psicologico:

"Tutti i libri che hanno per tema la rivoluzione iniziano con un capitolo che presenta il crollo di un potere già deteriorato, oppure la miseria e la sofferenza del popolo. E invece il capitolo iniziale dovrebbe essere essenzialmente psicologico, e tale da spiegare per quali motivi un uomo terrorizzato e sottoposto a ogni genere di vessazioni riesca, improvvisamente, a rompere con il terrore, a mettere fine alla sua paura. Questo singolare processo, che talvolta si svolge in una frazione di secondo, come se si trattasse di uno shock, richiede una spiegazione. L'uomo si libera dalla paura e si sente libero: se così non fosse non ci sarebbe nessuna rivoluzione".(3)

Ma io impedirò qualsiasi cambiamento psicologico, valendomi di sottili conoscenze.
Utilizzerò il meccanismo dei "neuroni specchio" per indurre complesse associazioni e determinazioni neurologiche. Mostrerò immagini e programmi TV che condizioneranno i bambini a diventare ciò che voglio, ovvero persone dipendenti dall'esterno, con una personalità fragile, incline al materialismo, all'egoismo e al consumismo. Non mi importerà affatto se tutto questo produrrà depressione, infelicità e sofferenza. I giovani dovranno credere che il loro corpo rappresenta l'unica realtà, e che il sesso va vissuto come istinto o come bisogno immediato, senza che vi sia un rapporto umano o un legame costruttivo.
Utilizzando la TV, i videogiochi e la pubblicità, manipolerò la personalità dei bambini per renderla vulnerabile, creando nei maschietti la voglia di essere crudeli e violenti, e nelle femmine la percezione di essere soltanto un corpo seduttivo.

Terrò conto che per avere persone sottomesse occorre tenerle imbrigliate nei loro istinti più bassi. Farò in modo che le persone vivano unicamente sul livello più immediato del loro essere, ignorando o negando le loro complesse capacità cognitive e morali. Lo farò con molta efficacia, creando giochi a quiz demenziali e programmi con vallette seminude e casi umani emotivamente carichi. Milioni di persone seguiranno tali programmi, e la loro mente sarà così tanto appiattita che non leggeranno più, oppure leggeranno soltanto giornali sportivi o di gossip.
Creerò divisioni di ogni sorta, in ordine alla religione, al sesso, al colore della pelle, all'appartenenza politica o ideologica. Queste divisioni mi serviranno a fomentare odio e ad attuare guerre quando e dove voglio.
Con tutte queste strategie riuscirei a sottrarre la sovranità al popolo e prenderei le decisioni soltanto sulla base del mio potere e dei miei interessi, facendo credere che ciò sarà per il bene di tutti. Creerei il sistema economico-finanziario che più mi garantisce potere e ricchezza, convincendo tutti che esso è "naturale" e dunque immodificabile, e che segue sue proprie leggi e regole, non determinate da me.
Farò in modo che in alcune aree geografiche una certa quantità di popolazione viva nel benessere, per avere appoggio, mentre manterrò nella miseria la maggior parte delle persone in moltissime altre aree. Questo mi servirà a decimare i popoli più "pericolosi" e a godere di maggiori risorse. Se dalle aree povere qualcuno cercherà di raggiungere le aree ricche per poter sopravvivere, farò in modo che egli appaia come un pericoloso delinquente, o "terrorista", in modo tale che non si crei alcuna solidarietà fra i popoli, che mi sarebbe da ostacolo e potrebbe minacciare il mio potere.
Per fare in modo che nessuno sospetti e si ribelli, chiamerò la dittatura perpetua "democrazia", e la esporterò in tutto il mondo.


P.S. Non potrei mai attuare una dittatura poiché essa sarebbe distruttiva per tutti, me compresa. Ma se analizzate attentamente la realtà vi accorgerete che qualcuno non l'ha pensata in tal modo.



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Ricordati che la vera ignoranza consiste nel criticare prima di comprendere e nel pretendere che tutti facciano come faresti tu.

NOTE

1) Parole dell'agente del Tavistock Aldous Huxley, dette durante una conferenza alla Scuola Medica di San Francisco nel 1961.
2) Cit. Steinem Gloria, "Autostima", Rizzoli, Milano 1995, p. 169.
3) Kapuscinsky Ryszard, "Revolution", The New Yorker, 4, 11 marzo 1985.

martedì

DIRITTO ALLA VERITÀ E DIRITTO ALL'ERRORE

Di Antonella Randazzo

Alcune verità possono risultare difficili da accettare, perché sono talmente sgradite da attivare meccanismi emotivi di rifiuto, oppure perché la disinformazione mediatica è stata così efficace da indurre le persone a rimanere salde nelle idee acquisite, anche quando vengono clamorosamente confutate. Tuttavia, la verità sui fatti storici, sociali o culturali permane un valore massimo, in assenza del quale nessun progresso umano potrebbe aversi.
Eppure mai come oggi la verità può essere avversata, malvista e talvolta rigettata, persino senza averla prima appurata o valutata.
L'attuale periodo storico non ha eguali nel passato del pianeta, poiché concentra potenzialità conoscitive immense, e potenzialità di controllo del pensiero altrettanto immense.
Ogni persona potrebbe scandagliare i fatti per scoprire la verità, leggendo pubblicazioni che fanno luce su moltissimi fatti storici e scientifici. Molte di queste pubblicazioni vengono tenute quanto più possibile "nascoste" o ai margini dall'attuale sistema di diffusione di massa delle informazioni e della cultura.
Il controllo dell'editoria da parte del gruppo dominante permette anche un controllo sulle recensioni di libri in uscita, che, su riviste o giornali, sempre più spesso sono presentate senza un reale commento, come se si trattasse di pubblicità. Negli ultimi anni le pagine culturali dei quotidiani e dei settimanali si sono trasformate in pagine promozionali, in cui è evidente l'assenza di una voce critica autonoma.
Ciò permette la divulgazione di libri di discutibile qualità, spesso scritti da persone di bassa qualità morale, che all'interno del sistema mediatico hanno acquisito, grazie alla loro sottomissione al gruppo dominante, un certo potere di influenzare l'opinione pubblica. Al contrario, molti intellettuali di sicura qualità morale e culturale rimangono sconosciuti al grande pubblico, tenuti ai margini affinché possano avere soltanto una minima influenza, raggiungendo un pubblico molto esiguo.
La mancanza di vera critica permette ai giornalisti o agli scrittori mediocri di apparire migliori di quello che sono, e impedisce ai migliori di farsi strada come potrebbero se le recensioni fossero indipendenti e obbiettive.

Favorendo i prodotti scadenti o commerciali, per profitto o per non rischiare di mettere in pericolo il sistema, si fa dimenticare che la cultura è essenzialmente un canale che consente di attivare la riflessione, rendendo possibile la comprensione di se stessi e della realtà. La cultura è anche un modo per scoprire nuovi punti di vista e nuovi avvenimenti. La vera cultura obbliga all'onesta ricerca della verità, e all'impegno mentale, emotivo o concettuale. Il sistema attuale, invece, promuove una pseudo-cultura, estemporanea, basata sulla reazione emotiva istantanea o sullo stimolo delle sensazioni immediate. E' la "cultura" commerciale, del consumo, che propone di mettere il gradimento immediato, in assenza di sforzo, al di sopra della qualità del prodotto. Ne derivano prodotti di scarsa qualità, che imprigionano le persone negli aspetti più superficiali e banali della realtà e di loro stesse.
Il sistema fa in modo da rendere la vera cultura appannaggio soltanto di sparute minoranze sociali, che nel tempo potranno essere destinate ad apparire sempre più "strane", sfuggendo all'omologazione intellettuale e morale della società di massa.
In questa situazione brilla l'assenza di stimolo al dibattito, della discussione intelligente e dell'indipendenza di pensiero. In armonia con la realtà prevalente, scompare il diritto a dissentire o a proporre nuovi concetti o nuove riflessioni rispetto a quelle promosse ampiamente dai canali ufficiali. L'atteggiamento critico sta diventando sempre più raro e nei pochi casi in cui è rimasto si tende a mostrarlo come "polemica", o come inopportuno e da evitare.
La ricerca della verità storica o la conoscenza del sistema attuale vengono intralciate anche dalla tendenza, promossa dalla propaganda, di porre le questioni in termini stilizzati: buono o cattivo, l'uno o l'altro, destra o sinistra, pro o contro, io o gli altri, ecc. Una rigida dicotomia induce ad avere reazioni emotive che spingeranno a trincerarsi in una "fazione", rinunciando all'obbiettività. La rigida contrapposizione di due termini produce un appiattimento nella rappresentazione della realtà, e fa vedere come inconciliabili aspetti che, seppur diversi, sono coesistenti e tutti necessari nel processo di comprensione della verità delle cose.
Molte filosofie o ideologie sono inficiate da una rigida contrapposizione, che nei secoli ha prodotto una sorta di scissione della coscienza umana, abituandola a cedere alle reazioni emotive dettate dall'esigenza di abbracciare un termine e rigettare l'altro. Ma la vera realtà ha molteplici sfaccettature, che sarebbe impossibile riassumere in soli due termini contrapposti. Talvolta l'esigenza di abbracciare un termine piuttosto che un altro può dipendere dal condizionamento dell'opinione prevalente o dalla paura di non essere approvati, e dunque del pericolo di ostracismo. Un esempio tipico è l'esigenza di votare a "destra" o a "sinistra", oppure di rigettare un'ideologia non più sorretta dal sistema, che pur in precedenza l'aveva promossa (es: comunismo, fascismo). Come tutti sanno, in pochi giorni gli italiani, da fascisti diventarono social-comunisti. In modi meno eclatanti è possibile osservare anche oggi i condizionamenti dell'ideologia dominante e l'induzione al rigetto delle ideologie non più di "moda".

Negli ultimi decenni la libertà di pensiero e di ricerca è stata duramente colpita anche attraverso la persecuzione giudiziaria, possibile a causa dell'approvazione di alcune leggi, nate con l'obiettivo preciso di limitare o condizionare la ricerca della verità.
Il fenomeno detto "revisionismo" esiste in quanto connotato da un non ben precisato gruppo di storici "ufficiali" a cui altri storici indipendenti si contrapporrebbero. E' evidente che se la ricerca storica fosse libera non potrebbe sussistere alcuna contrapposizione fra chi attua nuove ricerche indipendenti e chi no.
Definire le due fazioni "revisionisti" e "antirevisionisti", equivale a considerare i fatti storici un'ideologia o un'opinione. Ciò serve a mostrare la cultura come un ambito di scontro piuttosto che come un luogo di evoluzione delle coscienze umane, nella libertà di ricerca, anche commettendo errori, ma con l'intento di correggerli qualora si palesassero.
Il problema è che allo stato attuale anche il diritto all'errore è subdolamente vietato, dato che la cultura di massa manipola persino gli errori, imponendo quelli funzionali al sistema. Avere la libertà di sbagliare significa avere anche la libertà di trovare la verità. Il sistema vuole avere il potere di indicare, come scrisse Orwell, i "pensieri da non pensare". Pensare liberamente può essere considerato, in alcuni casi, un reato.

Come spiegò lo storico Giovanni Sabbatucci: "In genere si parla di 'revisionismo' quando qualcuno mette in discussione una storia sacra. Ma allora, se esiste una storia sacra, è giusto che esista anche il revisionismo... è giunto il momento di rimettere in discussione sia le ragioni degli ortodossi sia quelle dei revisionisti".(1)

Il "revisionismo" sarebbe da considerare, dunque, un metodo basato sull'idea che è sempre possibile migliorare le conoscenze acquisite, alla luce di nuovi documenti, nuove testimonianze o nuove analisi. Al contrario, gli "antirevisionisti" sarebbero sorretti dall'idea che ciò che si acquisisce come vero in un dato momento dovrebbe rimanere immutato anche quando emergono elementi che possono confutarlo.

In effetti, come ha fatto osservare lo storico Pierre Vidal-Naquet, la "revisione", come possibilità di accrescere le vecchie conoscenze e renderle più vicine alla verità, dovrebbe per forza rientrare nel lavoro normale dello storico, a meno che non si intenda la conoscenza storica come dogmatica o come un luogo da assumere per fede piuttosto che sulla base di prove fattuali.
La Storia non è altro che la capacità umana di comprendere il passato, così come esso emerge dai documenti, dai fatti e dalle testimonianze. Nel tempo tale conoscenza dovrebbe essere suscettibile di modifiche alla luce di nuovi elementi documentali o fattuali.
In teoria è facile accettare la storia come sapere che migliora nel tempo, più difficile è nel concreto, e lo stesso Vidal-Naquet assunse una posizione di rifiuto ingiustificato di fronte ad alcune conoscenze "revisioniste".
Alcuni storici si sono lasciati andare alla demonizzazione dei risultati di nuove ricerche storiche, considerando la Storia come un insieme di assunti immodificabili, e irridendo ogni possibilità di confronto diretto con gli storici indipendenti. Molti di questi storici si muovono sapendo di avere alle spalle la forza e la sicurezza del potere stegocratico (2) , e dunque non pongono al di sopra di tutto la ricerca della verità, ma la sicurezza di stare col più forte. L'amore per la verità e l'onestà intellettuale non collimano talvolta col desiderio di diventare un personaggio "autorevole" o di avere cariche importanti. Il mettere al primo posto la carriera rispetto all'onestà intellettuale può esprimere un profondo disprezzo per gli altri, considerati come una massa da indottrinare piuttosto che come persone che hanno diritto alla verità.

In altri casi le menzogne vengono dette in buona fede, trattandosi di persone non pienamente consapevoli o disinformate. E' il caso degli insegnanti scolastici, che spesso senza saperlo impartiscono lezioni basate su assunti errati, ad esempio riguardo al Risorgimento italiano e alle due guerre mondiali. Si tratta di persone che si fidano del sistema e che ritengono assurdo il fatto che la storia possa esser stata mistificata in modo grave allo scopo di manipolare il pensiero e le coscienze. Eppure questa è la sconcertante verità.
In alcuni casi le persone comuni non hanno elementi tali da poter cogliere la verità, non avendo fatto letture che esprimono un punto di vista diverso da quello ufficiale, o non avendo riflettuto abbastanza sugli aspetti contraddittori e paradossali che consentirebbero di smascherare l'attuale sistema di potere.
La difficoltà a far propria la verità è aggravata dal fatto che sia i telegiornali che i documentari mandati in onda alla TV presentano il punto di vista storico o scientifico "ufficiale", rafforzando idee e associazioni errate. In tal modo si nega il diritto alla verità, imponendo un unico punto di vista, utile ad evitare dubbi sul sistema vigente. Si ottunde il senso critico, e si abituano le persone ad accettare quello che proviene da fonti ufficiali, anche quando si tratta di notizie non suffragate da prove concrete, oppure di associazioni dettate dall'esigenza di creare nemici o di far apparire le autorità occidentali come promotrici di libertà e democrazia. I mass media sono così diventati la "fabbrica" del falso o del similvero, promuovendo giudizi errati su noi stessi, sui nostri simili, sugli immigrati, sulla nostra Storia, e sulla realtà politica, economica e finanziaria. Senza questi inganni quotidiani le persone potrebbero svegliarsi dal torpore, e iniziare a comprendere la pericolosità dell'attuale situazione per il futuro dell'umanità. Lo svegliarsi farebbe anche comprendere che i popoli non sono costretti a sottostare ad un potere iniquo e dittatoriale, se lo fanno è perché non ne comprendono il rischio e il gravissimo danno, che colpisce in vario modo tutti gli abitanti del pianeta.

I fatti storici non costituiscono "ideologia". Infatti, gli storici indipendenti dai condizionamenti del sistema non hanno alcun intento di professare una precisa ideologia, limitandosi a far emergere prove che confuterebbero molti assunti che siamo abituati a considerare verità inoppugnabili.
Nell'accettazione delle menzogne mediatiche è implicato anche il fattore emozionale, utilizzato ampiamente dalla propaganda per "fissare" associazioni o concetti similveri o errati. Chi di noi non si è commosso almeno una volta di fronte ad immagini di vittime della Shoàh, oppure all'evocazione di concetti come "sacrificio per il bene di tutti"? Il problema è che tale "sacrificio" viene utilizzato per giustificare le guerre, e che le vittime ebree non sono certo state le uniche della Seconda guerra mondiale. Chiediamoci perché nessuno ci chiede di commuoverci e dedicare un momento di silenzio per le vittime irachene o afghane. Oppure perché nei paesi occidentali non c'è alcun museo dedicato alle vittime innocenti uccise in Vietnam o in alcuni paesi del Sud America (come il Nicaragua). Le nostre emozioni sono indirizzate in modo tale da produrre forti reazioni di fronte ad alcuni eventi, e indifferenza o deboli reazioni di fronte ad altri, altrettanto criminali o ingiusti. Il gruppo dominante ci abitua ad una morale relativa, che vede più pesi e più misure, a seconda che si tratti di un popolo da considerare "amico" o "nemico" o di un personaggio storico vinto o vincente.

Negli anni Cinquanta e Sessanta lo studioso Paul Rassinier iniziò una ricerca indipendente, tirando fuori dagli archivi documenti "sfuggiti" agli storici di regime e mettendo in analisi aspetti storici dati per scontati senza alcuna prova. Altri storici proseguirono la ricerca, in modo del tutto apolitico e senza secondi fini. Come scrive Cesare Saletta, gli storici indipendenti lavoravano ignorando "del tutto gli appelli alla violenza e all'odio lanciati da questi e da quelli... (Il revisionismo) Parte dal principio dell'unità del genere umano. E' di una calma olimpica in una ricerca completamente materialistica e razionale, cioè aperta alla confutazione e alla critica, una ricerca che rivendica il diritto all'errore e alla correzione degli errori".(3)

Diversamente agirono gli storici ufficiali, pronti ad evitare ogni confronto e a sostenere contenuti non suffragati da prove documentali. La differenza fra storici indipendenti e storici "ufficiali", è che i primi non posseggono verità alcuna prima di attuare le loro ricerche, mentre i secondi sono già sicuri di alcuni assunti fondamentali, prima ancora di averli verificati. Ad esempio, molti di essi sono sicuri che i vincitori delle guerre siano migliori dei vinti, che esista una "democrazia occidentale" basata sulla sovranità popolare, o che personaggi come Winston Churchill o il presidente statunitense Harry Truman siano stati fondamentalmente "positivi" (pur con eventuali critiche) all'interno dei fatti della Storia della Seconda guerra mondiale.
Gli Storici indipendenti sono alla ricerca di fatti concreti, e senza alcuna censura o remora li valutano per quello che sono stati, rischiando ostracismo e persecuzioni giudiziarie. Lo scopo del sistema è quello di farli apparire matti o pericolosi, suscitando nella gente il bisogno di credere alle versioni ufficiali, per paura, conformismo o convenienza.
Ci vorrebbero far credere che la cultura possa essere un luogo pieno di dogmi, in cui alcuni "sacerdoti" sono abilitati ad elargire conoscenza, mentre altri sarebbero da colpire con un terribile anatema.

La domanda è: perché l'attuale sistema è così interessato a controllare il pensiero e la libera ricerca? E' evidente che se gli individui fossero capaci di libero pensiero (non condizionato dal sistema) sarebbe assai arduo imporre un potere ingiusto. Dunque, oggi le tecniche di controllo del pensiero e della libera ricerca sono diventate così sottili e subdole da far ritenere "democratico" un contesto in cui vengono create strutture atte ad imporre un rigido controllo, persino delle coscienze.
Molti ritengono, pur ammettendo l'esistenza di un controllo sul pensiero e sulla cultura, che tutto sommato la realtà sia accettabile, poiché potrebbe essere peggiore. A parte il fatto che, ovviamente, non possono pensarla allo stesso modo quei popoli vessati e ridotti a vivere nell'estrema miseria dalla medesima élite, occorre considerare che nessuno sa cosa sarebbe l'esistenza umana qualora fosse lasciata libera di autorealizzarsi. Probabilmente, se molte persone fossero in grado di saperlo diventerebbero assai più sicure e agguerrite nel contrastare l'asservimento.

Le leggi che hanno l'obiettivo di tenere sotto controllo la libera ricerca della verità storica sono state approvate a partire dagli anni Novanta. In Francia, nel 1990, è stata approvata la legge 90-615 detta Fabius-Gayssot (cognomi del socialista Laurent Fabius e del comunista Claude Gayssot ), che combatte "il delitto di revisionismo", a cui è subentrata nel 2003 la legge Lellouche, che pretende di affrontare la "provocazione alla discriminazione".
Queste leggi sortirono gli effetti sperati e, come rivelò "Le Monde", gli storici francesi indipendenti iniziarono a temere di essere trascinati in tribunale, e terrorizzati iniziarono a limitare gli articoli sui giornali.
Alcuni storici francesi reagirono a tutto questo firmando un manifesto dal titolo "Liberté pour l'histoire!," in cui chiesero l'abrogazione delle leggi che restringevano la libertà di opinione.
In Austria la legge che controlla la ricerca storica è stata approvata il 26 febbraio e il 19 marzo 1992, in Germania il 28 ottobre 1994, in Svizzera il I' gennaio 1995, in Belgio il 23 marzo 1995, in Spagna l'l1 luglio 1995, in Lussemburgo il 19 luglio 1997. La legge lussemburghese prevede il carcere da otto giorni a sei mesi o con ammenda da 10.000 a un milione di franchi a "chi contesta, minimizza, giustifica o nega l'esistenza di uno o più crimini contro l'umanità o crimini di guerra, come definiti nell'art. 6 dello statuto del Tribunale Militare Internazionale". Anche la Polonia, nel gennaio 1999, ha approvato una legge analoga.
Nel 1993, le autorità italiane presero a pretesto l'esistenza dei naziskin, e la presunta lotta interetnica nell'ex Jugoslavia, per parlare di "incitamento all'odio razziale" e di possibilità che si verificassero violenze "di stampo razzista". Il governo Amato si sentì obbligato, sollevate le istanze morali, di dover contrastare il "razzismo e l'antisemitismo" con una legge. Fu dunque approvato il decreto n.122 del 26 aprile 1993, convertito il 25 giugno nella legge n. 205 "Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa". La vaghezza della definizione del termine "discriminazione" permette di interpretare la legge in modo ampio, facendovi entrare anche intellettuali privi di ogni sentimento discriminatorio o razzistico. La legge, infatti, non aveva tanto l'obiettivo dichiarato di combattere la "discriminazione", quanto quello non esplicitato, perché vergognoso, di tenere sotto controllo le ricerche storiche degli intellettuali indipendenti. La legge dava la possibilità di criminalizzare posizioni di pensiero o nuove teorie storiche, associando "revisionismo" a "razzismo".
Nel 2007, l'allora ministro della giustizia Clemente Mastella stilò un disegno di legge per poter perseguire penalmente il "negazionismo" dell'Olocausto. Si trattava di un tentativo di reintrodurre il reato di opinione, al fine di tenere sotto controllo gli intellettuali indipendenti facendoli sentire soggiogati e limitati dal sistema di potere. Il disegno di legge è stato approvato con voto unanime nel gennaio 2007.
La legge Mancino è stata dunque riconfermata e ampliata dal disegno di legge Mastella n° 1694. Per non rendere troppo evidente il vero scopo della legge, non è stato citato esplicitamente il termine "negazionismo", limitandosi a mettere in evidenza presunti scopi obiettivi di punire "l'istigazione al razzismo".
Che l'intento non fosse quello di perseguire il vero razzismo è palese nel fatto che nessuna questione è stata mai sollevata di fronte a comportamenti islamofobi o a chiari intenti xenofobi, ad esempio manifestati dai leghisti in moltissime occasioni. Com'è risaputo, molti esponenti di primo piano della Lega Nord hanno sostenuto che gli stranieri poveri fossero come "una malattia", che fossero come animali e che dovessero essere presi a cannonate o a colpi di bazooka. I leghisti ripropongono contro gli immigrati gli stereotipi comuni utilizzati in passato anche contro gli ebrei: dicono che puzzano, sono brutti, sono parassiti, possono attaccare malattie, sono tutti criminali e sono da considerare come bestie. Addirittura, nel 2002 la Lega Nord fece affiggere sui muri di alcune località lombarde un manifesto che mostrava una bambina bionda con gli occhi azzurri (tipologia "ariana") e su cui si leggeva "Sì ai bambini della Padania".(4) Propaganda degna delle peggiori tradizioni nazifasciste.
Eppure non risulta che queste persone siano mai state perseguite penalmente, pur facendo, com'è evidente, incitazione all'odio xenofobo. Al contrario, quest'ultimo viene alimentato ampiamente dai mass media, che si curano di accrescere la paura e il senso di insicurezza dei cittadini, in modo tale che il malcontento venga indirizzato verso gli immigrati e non verso chi crea insicurezza, disperazione e miseria. Il sistema attuale mira ad utilizzare gli immigrati per distogliere l'attenzione dall'impoverimento progressivo a cui sono soggetti i cittadini europei, e al sistema di potere gravemente iniquo e criminale, che produce mafia e corruzione. I criminali, anziché i corrotti e i personaggi che organizzano guerre e commettono genocidi e massacri, diventano gli immigrati poveri, specie se arabi o slavi.
Ovviamente, la propaganda xenofoba non parla mai delle condizioni che gli stegocrati creano nel Terzo Mondo, e cela che la maggior parte degli immigrati lavora duramente per pochi spiccioli, senza alcuna tutela da parte di quelle stesse autorità che professano di voler combattere razzismo e ingiustizie.

Il decreto legge n° 1694 prevede il carcere da sei mesi a quattro anni "per chiunque diffonda in qualsiasi modo idee fondate sulla superiorità o l'odio razziale o etnico, ovvero inciti a commettere o commetta atti di discriminazione". Associare alcune nuove interpretazioni storiche al razzismo significa in teoria poter trascinare in tribunale praticamente qualsiasi storico indipendente.
E' evidente che si è aperta una nuova caccia alle streghe, in cui tutti coloro che trovano elementi per contrastare la versione storica data dai vincitori diventano immediatamente "neonazisti" o "razzisti", e costretti a risponderne in tribunale. Le etichette servono a far capire che si tratta di persone da escludere, da privare anche della pur minima considerazione, poiché anche una minima considerazione potrebbe "legittimarli". Le dicotomie a cui ci abitua la nostra cultura prevedono l'esclusione immediata del presunto colpevole, visto come "nemico".

C'è da chiedersi perché paesi che si autodefiniscono "democratici" hanno l'impeto ad imporre a suon di processi una versione storica, come accadeva durante la Santa Inquisizione.
E' come se la verità storica dovesse diventare un dogma, imposto per legge. Come se fosse un fatto di autorità e non di ricerca e cultura.
E' evidente che gli scopi principali di queste leggi sono:
1 - Spaventare chi vuole fare ricerca storica indipendente;
2 - far capire una volta per tutte che è il sistema a decidere ciò che è vero e ciò che è falso;
3 - additare gli storici indipendenti come criminali, in modo tale che nessuno voglia seguire il loro esempio o prenderli sul serio;
4 - far intendere che anche la cultura è un settore su cui le autorità possono imporre dogmi o rigidi schemi prefissati.

Le leggi che controllano i ricercatori indipendenti hanno duramente colpito persone come David Irving, Siegfried Verbeke, Ernst Zündel, René-Louis Berclaz e molti altri, che non hanno mai espresso idee razziste o antisemite.
Le leggi contro la libera ricerca storica hanno costretto l'Association des Anciens Amateurs de Récits de Guerre et d'Holocauste (AAARGH) a pubblicare alcuni libri "revisionisti" su Internet e a sentirsi obbligata a sottolineare che :
"In ragione delle leggi che istituiscono una censura specifica in certi paese (Germania, Francia, Israele, Svizzera, Canada, ecc.) non domandiamo il consenso degli autori che in essi vivono, poiché non sono liberi di darlo. Ci poniamo sotto la protezione dell'articolo 19 della Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo, il quale stabilisce: "Ognuno ha diritto alla libertà di opinione e di espressione, il che implica il diritto di non essere molestati per le proprie opinioni e quello di cercare, di ricevere e di diffondere, senza considerazione di frontiera, le informazioni e le idee con qualsiasi mezzo di espressione li si faccia" (Dichiarazione internazionale dei Diritti dell'Uomo, adottata dall'Assemblea generale dell'ONU a Parigi il 10 dicembre 1948).(5)

In Italia la Storia ufficiale, insegnata nelle scuole, non tiene conto delle ultime ricerche storiografiche, in cui eventi come il Risorgimento, la Resistenza e le due guerre mondiali trovano interpretazioni ben diverse da quelle ufficiali, supportate da prove storiche inoppugnabili.
Falsificare la Storia significa per l'oligarchia apparire moralmente legittimata. Le guerre vengono raccontate come difesa delle nazioni dal prepotente dittatore. Vengono mistificati o occultati molti i crimini dei vincitori, e le autorità dei paesi dominanti vengono descritte come preoccupate di proteggere i popoli e di far trionfare il bene.
I metodi per negare il diritto alla verità sono rimasti sostanzialmente invariati, anche se col tempo sono diventati più sottili. Si controlla chi produce nuova conoscenza (la ricerca universitaria), si controllano i mass media, e si tengono ai margini gli intellettuali indipendenti. Quando ciò non è possibile si rendono attivi i Tribunali, si infama, si distrugge lavorativamente ed economicamente chi fuoriesce dal sistema, che diventa una sorta di "uomo nero" su cui si dovrà scaricare tutta la rabbia e la riprovazione. Anche i contenuti della propaganda non cambiano. Come osserva Robert Faurisson: "(esiste) un repertorio anticipato delle menzogne".(6) Queste menzogne fanno apparire le autorità occidentali come autorevoli, mentre invece esse ricoprono quelle cariche semplicemente perché appoggiano l'attuale assetto stegocratico di potere. Fanno apparire le guerre "giuste", e le repressioni dei popoli come "missioni di pace". Fanno apparire il contrario di ciò che è.
La propaganda massiccia e l'assenza nei media di massa di opinioni divergenti abituano all'acriticità e alla conseguente accettazione passiva di ciò che viene presentato come verità. In tal modo si induce a dimenticare che la libertà di pensiero è l'essenza dell'uomo, e il diritto alla verità è necessario a creare una società umana "civile" che possa realmente dirsi tale.


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Per comprendere le ragioni del copyright leggere:
http://antonellarandazzo.blogspot.com/2008_03_01_archive.html
Ricordati che la vera ignoranza consiste nel criticare prima di comprendere e nel pretendere che tutti facciano come faresti tu.


NOTE

1) "Corriere della sera", 31 dicembre 1997.
2) Per comprendere il termine "stegocratico" si veda http://antonellarandazzo.blogspot.com/2008/03/lipotesi-stegocratica-parte-prima.html
3) http://vho.org/aaargh/fran/livres4/casof.pdf.
4) "Il manifesto", 8 febbraio 2002.
5) http://vho.org/aaargh/ital/ital.html
6) Faurisson Robert, "Il metodo revisionista applicato alla storia della terza guerra mondiale", http://vho.org/aaargh/ital/archifauri/RF030511it.html


PER APPROFONDIRE E CONOSCERE ALCUNE VERITÀ STORICHE OCCULTATE DAL SISTEMA

AAVV, “La Storia Imbavagliata”, atti del convegno del Master “Enrico Mattei” in Medio Oriente, Teramo 17 -19 aprile 2007.
Alianello Carlo, "La conquista del Sud. Il Risorgimento nell'Italia meridionale", Rusconi, Milano 1982.
Dadone Ugo, "Fiamme ad Oriente", C.E.N., Roma 1958 (si può scaricare dal sito http://vho.org/aaargh/ital/ital.html).
Gioannini Marco, Massobrio Giulio, "Bombardate l’Italia. Storia della guerra di distruzione aerea 1940-1945", Rizzoli, Milano 2007.
Graf Jürgen, "L'olocausto allo scanner", ed. Effepi, Genova 2000.
Harwood Richard, "Auschwitz o della soluzione finale. Storia di una leggenda", Le Rune, Milano 1978.
Harwood Richard, "Nuremberg and other war crimes trials", Historical Review Press, 1978.
Izzo Fulvio, "I Lager dei Savoia", Controcorrente, Napoli 1999.
Pellicciari Angela, "Risorgimento da riscrivere", Ares, Milano 2007.
Randazzo Antonella, "Dittature. La Storia occulta", Ed. Il Nuovo Mondo, Padova 2007.
Randazzo Antonella, "La nuova democrazia. Illusioni di civiltà nell'era dell'egemonia USA", ed. Zambon, Verona 2007.
Rassinier Paul, "La menzogna di Ulisse", Le Rune, Milano 1966.
Servidio Aldo, "L'imbroglio Nazionale", Alfredo Guida Editore, Napoli 2000.
Zitara Nicola, "Negare la negazione", La Città del Sole Edizioni, Reggio Calabria 2001.